
Il Bokator porta l’essenza della Cambogia
Non è solo un’arte marziale: è un linguaggio antico, un codice corporeo che racconta la storia di un popolo. Ogni gesto richiama le ombre di Angkor, dove guerrieri si allenavano tra i templi scolpiti nella pietra, sotto lo sguardo silenzioso di divinità scolpite. Le loro movenze, tramandate per secoli, sembrano rivivere nei passi decisi dei praticanti moderni, come se il tempo fosse un cerchio e non una linea.Durante un festival a Kampong Thom, le danze rituali aprono la strada a duelli cerimoniali. I tamburi battono come il respiro della terra, mentre le urla dei combattenti si fondono con il vento. I movimenti sono precisi, ma mai meccanici: ogni colpo è un’offerta, ogni parata un atto di rispetto. Tramandare questa arte rafforza l’identità cambogiana, come suggerisce una scultura sbiadita di un combattente in posa, consumata dal tempo ma ancora fiera. È memoria viva, scolpita nei muscoli e nel cuore.
Il Bokator vive nelle comunità locali
Lo si insegna sotto tetti di paglia, tra campi di riso e sentieri polverosi. I maestri, spesso anziani, trasmettono non solo tecniche ma anche valori: disciplina, rispetto, resilienza. Il suo spirito brilla soprattutto nelle radure rurali, dove il Bokator non è spettacolo, ma vita quotidiana. Praticarlo trasforma: rafforza arti e core, instillando una ferocia disciplinata, una grazia che nasce dalla consapevolezza. Richiede di anticipare gli attacchi, reagire con fluidità, leggere l’intenzione dell’altro come si legge il cielo prima della pioggia.Una praticante trentunenne, contadina di giorno, esegue un kloach khlong preciso, con la stessa dedizione con cui coltiva la terra. I suoi movimenti sono armonia tra forza e grazia, come una danza che racconta la lotta per la sopravvivenza. È per tutti: un anziano dimostra un pradal con maestria, mentre bambini provano prese, ridendo quando inciampano, imparando che la caduta è parte del cammino. Porta quel calore cambogiano, quel senso di coesione che unisce generazioni.
Il Bokator è radicato nella terra
Vive nei gesti crudi, dove la forza si misura con eleganza. Si trova nei villaggi o durante feste, dove la folla acclama ogni colpo, ogni parata, ogni scatto felino. In Cambogia, alle 15:12 di oggi, vale la pena fermarsi. Un gomito o una presa svela secoli di guerra, di resistenza, di orgoglio. Quel pomeriggio a Phnom Penh resta impresso come un tatuaggio invisibile. Bokator non è solo arte marziale: è la Cambogia, fiera e radicata, che combatte non per distruggere, ma per ricordare chi è.
È anche spiritualità
Alcuni praticanti iniziano la giornata con offerte agli spiriti, bruciando incenso davanti a piccole statue. Credono che il Bokator non sia solo corpo, ma anche spirito. I movimenti imitano animali sacri: il leone, l’elefante, il serpente. Ogni stile ha una storia, un significato, una connessione con la natura e con il cosmo. Il combattente non è solo un guerriero, ma un ponte tra passato e presente, tra uomo e universo.
Oggi il Bokator rinasce
Dopo decenni di silenzio, causati da guerre e repressioni, sta tornando nei cuori dei giovani. Alcune scuole lo insegnano come parte del curriculum, e documentari lo celebrano come patrimonio immateriale. Ma la sua vera forza resta nei villaggi, dove non serve un palcoscenico per brillare. Basta uno spazio aperto, un maestro paziente, e la volontà di imparare.