Difesa personale: oggi serve ancora? Tra realtà, percezione e responsabilità

Allenamento di autodifesa all’aperto in un parco: una donna colpisce i guantoni tenuti da un istrutt
Allenamento di autodifesa all’aperto in un parco: una donna colpisce i guantoni tenuti da un istrutt

Viviamo in un tempo in cui la sicurezza sembra garantita da videocamere, app di emergenza e controlli digitali. Eppure, la domanda resta: serve ancora la difesa personale?

Non è una provocazione. È una riflessione concreta, che riguarda tutti soprattutto chi lavora in strada, chi affronta turni notturni, chi vive in contesti fragili. Difendersi non significa solo reagire fisicamente: significa conoscere, prevenire, proteggersi. E oggi, più che mai, questa capacità è fondamentale.

Difesa personale non è violenza: è consapevolezza

L’errore più comune è pensare che difesa personale significhi saper picchiare. In realtà, è l’opposto. Difendersi vuol dire saper leggere una situazione, evitare il conflitto, sapere quando parlare e quando allontanarsi. È una forma di educazione civica, non di aggressività.

La legge italiana lo riconosce. L’articolo 52 del Codice Penale parla chiaro: la difesa è legittima solo se necessaria e proporzionata. Ma nella vita reale, distinguere tra difesa e reazione eccessiva non è semplice. Ecco perché serve formazione, conoscenza, responsabilità.

I dati dicono che siamo più sicuri. Ma ci sentiamo più esposti

Secondo l’ISTAT, i reati violenti sono in calo. Ma la percezione della sicurezza resta bassa. Donne, anziani, lavoratori precari: sono loro a sentirsi più vulnerabili. E non è paranoia. È esperienza quotidiana.

Le notizie di aggressioni, furti, molestie circolano ovunque. I social amplificano ogni episodio. E così, anche se i numeri migliorano, la paura resta. In questo contesto, la difesa personale diventa uno strumento di autonomia. Non per sostituirsi alle forze dell’ordine, ma per non restare in balia degli eventi.

Serve educazione, non solo tecnica

Molti propongono di insegnare difesa personale a scuola. Non per insegnare a combattere, ma per formare cittadini consapevoli. Sapere come comportarsi, come chiedere aiuto, come evitare situazioni a rischio: questo è il vero obiettivo.

E c’è di più. Chi si sente preparato, si sente anche più sicuro. L’autodifesa riduce l’ansia, rafforza l’autostima, migliora la gestione dello stress. In un mondo che corre e che spesso isola, questo è un valore aggiunto.

Difesa personale è anche giustizia sociale

C’è un aspetto che pochi considerano: la difesa personale come strumento di giustizia. In certi contesti, sapersi difendere significa anche sapersi far rispettare. Pensiamo ai lavoratori sfruttati, alle donne molestate, ai migranti discriminati. Per loro, difendersi è anche denunciare, opporsi, rivendicare diritti.

Non è solo una questione individuale. È collettiva. È politica. È dignità.

Conclusione: difendersi è un diritto. Ma anche un dovere

La difesa personale oggi è più che mai necessaria. Non perché viviamo in un mondo più violento, ma perché viviamo in un mondo più complesso. Le minacce non sono solo fisiche. Sono psicologiche, sociali, digitali.

Difendersi significa essere presenti, consapevoli, attivi. Non si tratta di alimentare paure. Si tratta di evolvere. E di riconoscere che la sicurezza non è solo un servizio da ricevere, ma anche una responsabilità da esercitare.

Difesa personale: tra sistema giapponese e cinese

La difesa personale, come mi disse un insegnante di Wushu cinese in risposta a una mia domanda, non può essere insegnata in poche lezioni. Per essere davvero efficace in contesti reali, deve diventare una reazione naturale, e questo richiede tempo. Ogni individuo ha i propri ritmi: l’unica via è praticare, praticare e ancora praticare, qualunque sia lo stile scelto.

Nel corso degli anni ho avuto modo di praticare sia il sistema giapponese che quello cinese, e ho maturato una visione chiara delle differenze tra i due approcci all’insegnamento.

Il sistema giapponese: tecnica, ripetizione, automatismo

Lo stile giapponese si fonda sulla ripetizione della singola tecnica fino a renderla automatica. Il corpo sviluppa quella che viene chiamata memoria muscolare, e la tecnica, una volta assimilata, diventa istintiva e rapida. Questo approccio consente di apprendere alcune tecniche di difesa personale in tempi relativamente brevi ma non certo in tre o quattro lezioni, come spesso viene promesso per motivi commerciali, naturalmente si sta parlando dei vari insegnati o che si proclamano tali di difesa personale e non del KARATE

Anche quando i corsi sono gratuiti, l’obiettivo è spesso pubblicitario: attirare nuovi allievi o dare visibilità al maestro. Diffidate di chi promette risultati immediati. La verità è che, per padroneggiare davvero alcune tecniche, servono almeno due anni di pratica costante. Chi propone scorciatoie, lo fa consapevolmente, ma ha un repertorio limitato e tempi di apprendimento ristretti.

Il sistema cinese: forma, profondità, pazienza

Nel metodo cinese, l’approccio è più lungo ma altrettanto valido. Non si insegnano singole tecniche isolate, bensì forme complete che racchiudono molteplici movimenti. La forma si può apprendere in pochi mesi, ma le applicazioni pratiche di ogni tecnica richiedono anni. E ancor di più serve tempo per sviluppare reazioni automatiche.

Qui si parla di 4 o 5 anni di pratica costante per iniziare a vedere risultati concreti. Naturalmente, come nel sistema giapponese, tutto dipende dalla frequenza degli allenamenti. Se ci si allena due volte a settimana, tolto il riscaldamento, si arriva a malapena a tre ore di studio reale dello stile.

Esperienze personali e consigli

Mi è capitato di contattare un insegnante per ripassare uno stile, più che altro per trovare partner con cui allenare i riflessi cosa difficile da fare da soli. Mi ha proposto un allenamento di un’ora a settimana, con prezzi paragonabili ad altre scuole. Il mio consiglio? Scappate a gambe levate. Il resto potete immaginarlo sul tipo di istruttore che propone una cosa del genere.

Diverso è il caso di chi già pratica uno stile e partecipa a stage di perfezionamento. Se qualcuno cerca qualche tecnica da usare in tempi relativamente brevi, consiglio il sistema giapponese. Se invece si vuole approfondire seriamente le arti marziali, il metodo cinese è più adatto senza nulla togliere a quello giapponese. Sono due sistemi diversi, ma con anni di pratica, entrambi portano allo stesso risultato nella difesa personale.