Traditional Marial Arts (Lathi Khela)
Lathi Khela: il bastone che custodisce il villaggio
Lathi Khela non nasce per intrattenere. Nasce per proteggere. È l’arte marziale tradizionale del Bangladesh, forgiata nei villaggi, cresciuta tra le risaie, tramandata nei cortili. Il nome è semplice: lathi significa “bastone”, khela significa “gioco”. Ma chi lo pratica sa che non è un gioco. È un codice. È un linguaggio. È il modo in cui il corpo si oppone alla violenza, senza diventare violento. È il bastone che non si impugna per ferire, ma per custodire.
Dove il bastone è territorio
Nel passato, i zamindar i signori feudali impiegavano gruppi di lathial, combattenti esperti di Lathi Khela, per difendere le terre, raccogliere tributi, mantenere l’ordine. Ma il bastone non era solo strumento di potere. Era anche simbolo di giustizia. Quando due villaggi avevano una disputa, si organizzava un incontro tra lathial. Non per uccidere. Per risolvere. Il bastone diventava giudice. Il gesto diventava sentenza. E il villaggio accettava il verdetto del corpo.
Dove il colpo è ritmo
Il bastone usato nel Lathi Khela è lungo, flessibile, spesso in bambù maschio, a volte rinforzato con anelli di ferro. Si impugna con precisione. Si muove con fluidità. I colpi sono circolari, diagonali, improvvisi. Ma non c’è solo tecnica. C’è danza. C’è ritmo. Durante le esibizioni, il combattimento si accompagna a tamburi tradizionali. I lathial si muovono come onde. Il bastone diventa estensione del corpo. Il gesto diventa coreografia. E il pubblico non guarda per intrattenersi. Guarda per ricordare.
Dove il sapere è popolo
Lathi Khela non si insegna in accademie. Si trasmette nei villaggi, tra generazioni. I maestri non sono celebrità. Sono contadini, pescatori, artigiani. Il sapere non è codificato. È vissuto. E chi lo pratica lo sa: non si combatte per vincere. Si combatte per custodire. Per proteggere la comunità. Per onorare gli antenati. Per non dimenticare chi ha impugnato il bastone prima di noi.
Dove il gesto resiste
Con l’urbanizzazione, Lathi Khela ha rischiato di sparire. I giovani si sono spostati verso le città. Le tradizioni si sono sfilacciate. Ma il bastone non ha ceduto. Ogni anno, durante il Pohela Boishakh il capodanno bengalese e le fiere rurali, i lathial tornano a combattere. Non per mostrare forza. Per mostrare memoria. Per dire: siamo ancora qui. Il bastone vibra. Il corpo risponde. Il villaggio ricorda.
Dove il bastone è più che arma
Lathi Khela non è solo difesa. È pedagogia. È disciplina. È rispetto. I giovani che lo praticano imparano a muoversi, ma anche a pensare. Il bastone insegna distanza, misura, controllo. Non si impugna per dominare. Si impugna per contenere. Per proteggere. Per ricordare che la forza non è nel colpo, ma nella scelta di usarlo solo quando serve
FAQ su Lathi Khela
1. Lathi Khela è uno sport o un’arte marziale?
Lathi Khela è un’arte marziale tradizionale del Bangladesh, ma non nasce per competere. Non è sport nel senso moderno. È un linguaggio del corpo, una forma di protezione, una pedagogia incarnata. Il bastone non si impugna per vincere, ma per custodire.
2. Chi può praticare Lathi Khela?
Chiunque. Non servono accademie né titoli. Si impara nei villaggi, tra contadini, pescatori, artigiani. È una trasmissione orale e corporea, dove il sapere non è codificato ma vissuto. I giovani imparano dai gesti degli anziani, non dai manuali.
3. Il bastone è un’arma?
Non nel senso comune. È lungo, flessibile, spesso in bambù maschio, a volte rinforzato. Ma non è progettato per ferire. È uno strumento di misura, di controllo, di rispetto. Il bastone insegna distanza, ritmo, contenimento. È più vicino a una sentenza che a un attacco.
4. Lathi Khela è ancora praticato oggi?
Sì, anche se ha rischiato di sparire. Con l’urbanizzazione, molte tradizioni si sono indebolite. Ma durante il Pohela Boishakh e le fiere rurali, i lathial tornano. Non per spettacolo, ma per memoria. Il gesto resiste. Il villaggio ricorda.
5. Perché si dice che Lathi Khela è pedagogia?
Perché insegna più del movimento. Insegna rispetto, disciplina, contenimento. I giovani imparano a pensare prima di agire. A scegliere quando colpire e quando no. Il bastone diventa maestro. E il corpo diventa memoria.


