
Bastone Genovese: Arte Marziale Italiana di Autodifesa Urbana

A Genova, il bastone non è mai stato solo un bastone.
Genova non è solo mare e pesto. È anche vicoli stretti, ombre lunghe, e storie che non finiscono sui libri. Tra queste, ce n’è una che cammina piano, appoggiata a un bastone. Non per moda, né per debolezza. Ma per memoria. Per difesa. Per rispetto.
Il bastone genovese non nasce in palestra. Non ha cinture colorate, né gradi da esibire. È roba da porto, da anziani che non vogliono farsi fregare, da gente che ha imparato a leggere le intenzioni negli occhi prima che nei gesti. Un’arte marziale? Sì, ma senza fronzoli. Senza spettacolo. Solo efficacia.
Dove nasce
Nel centro storico, dove le strade si stringono e le parole si accorciano, il bastone era compagno di chi tornava tardi, di chi non poteva permettersi di perdere. Marinai, portuali, vecchi con la schiena piegata ma lo sguardo dritto. Il bastone serviva per camminare, certo. Ma anche per dire: “Non mi toccare”.
Come si muove
Ci sono due modi di usarlo. Uno lungo, a due mani, che ricorda lo spadone. Serve spazio, serve fiato. L’altro è più discreto: il bastone da passeggio, corto, maneggiato con una sola mano. Qui si gioca di anticipo, di finta, di colpo secco. Non si cerca il duello. Si cerca di tornare a casa.
I movimenti non sono belli. Sono giusti. Parate, schivate, colpi bassi. A volte si usa anche il piede, per sbilanciare. A volte si finge di cadere, per sorprendere. È una danza storta, ma funziona.
Per chi è
Non serve essere forti. Serve essere svegli. Il bastone genovese è perfetto per chi non vuole combattere, ma non vuole nemmeno subire. Donne, anziani, ragazzi che non vogliono fare i duri ma nemmeno i bersagli. È un’arte che insegna a stare in piedi, anche quando tutto spinge per farti cadere.
Una storia vera
Claudio Parodi, maestro e custode di questa disciplina, racconta di un vecchio che, in piazza Raibetta, mise a terra un giovane aggressore con un solo colpo. Nessuna violenza gratuita. Solo lucidità. Solo rispetto per sé stesso. Quel gesto vale più di mille tecniche.
Perché non si conosce
Perché non vende. Perché non fa rumore. Perché non ha sponsor. Ma è proprio questo il suo valore. Il bastone genovese è resistenza culturale, è memoria che si muove, è dignità che non si piega.
Conclusione
In un mondo che corre, che urla, che mostra, il bastone genovese cammina piano. E insegna a difendersi senza diventare aggressivi. A proteggersi senza diventare paranoici. È un’arte che non chiede di essere ammirata. Chiede solo di essere capita.
Domande Frequenti sul Bastone Genovese
1. Cos’è il bastone genovese?
È una forma di autodifesa nata nei vicoli di Genova. Non è uno sport, né una disciplina codificata. È un insieme di tecniche pratiche tramandate da portuali, marinai e anziani per proteggersi in contesti urbani.
2. Chi può praticarlo?
Chiunque. Non serve forza fisica, né età particolare. È pensato per persone comuni: anziani, donne, lavoratori. L’importante è avere lucidità e voglia di imparare a muoversi con intelligenza.
3. Serve un bastone speciale?
No. Basta un bastone da passeggio, corto e maneggevole. L’idea è che sia uno strumento quotidiano, non un’arma. Deve poter essere usato senza attirare attenzione.
4. Dove si può imparare il bastone genovese?
Non ci sono molte scuole ufficiali. Alcuni maestri, come Claudio Parodi, lo insegnano in spazi indipendenti. Si tramanda soprattutto in piccoli gruppi, lontano dai circuiti sportivi.
5. È ancora utile oggi?
Sì. In un mondo dove la sicurezza personale è spesso sottovalutata, il bastone genovese offre un modo sobrio e efficace per difendersi. Non incita alla violenza, ma alla consapevolezza.